venerdì 22 novembre 2013
L'ABBRACCIO ANALFABETA
Quando uno non ha abbracciato nessuno
da giovane, per anni, per decenni,
perché bloccato, per l’educazione,
per timidezza, per la solitudine,
perché in famiglia non si usa o per altri
motivi, quando finalmente abbraccia
- perché, a un’età qualsiasi, succede
che si sciolgano i nodi - allora lui
mentre abbraccia, è come i sordomuti
quando imparano col metodo vocale:
fanno vibrare le corde e ci contano
di emettere quel suono, ma non è che lo sentono:
guardano l’altro e se l’altro ha capito
sono felici: ci sono riusciti,
con l’impegno e il puntiglio, a fare il suono.
Così l’analfabeta degli abbracci,
quando finalmente si decide,
non ha gesti spontanei, studia come
muovere il braccio, la spalla, come stringere
di più o di meno, è stupito e impaurito
- benché felice - del contatto del corpo
sul corpo. È felice, è più felice di altri
che hanno sempre abbracciato, fin da piccoli:
è felice, è una conquista: ma recita
l’abbraccio, è in ansia che gli venga bene,
in pratica lo mette in scena, e gli altri
se ne accorgono, a volte se ne accorgono
e credono che sia un abbraccio finto:
invece è il più felice degli abbracci:
lui ci è arrivato per strade difficili
e quasi piange mentre riesce a fare
ciò che per altri è una cosa normale.
Se incontri uno così, devi capire
che non è finto, è il più vero dei veri:
lui finge ciò che veramente fa
perché non lo sa fare senza fingere:
è un po’ come il poeta di Pessoa,
ma è così vero che dopo l’abbraccio
riuscirebbe a volare per la gioia:
però nessuno se ne accorge mai
perché, come l’abbraccio, anche lo sguardo
e gli altri gesti sono troppo incerti,
sgrammaticati, come di straniero,
e si resta perplessi, diffidenti.
Sono persone che fanno fatica
nelle cose più semplici, che mai
ti aspetteresti. Poi da soli in casa
cantano, ridono, scrivono versi.
Carlo Molinaro, " L’abbraccio analfabeta"
da giovane, per anni, per decenni,
perché bloccato, per l’educazione,
per timidezza, per la solitudine,
perché in famiglia non si usa o per altri
motivi, quando finalmente abbraccia
- perché, a un’età qualsiasi, succede
che si sciolgano i nodi - allora lui
mentre abbraccia, è come i sordomuti
quando imparano col metodo vocale:
fanno vibrare le corde e ci contano
di emettere quel suono, ma non è che lo sentono:
guardano l’altro e se l’altro ha capito
sono felici: ci sono riusciti,
con l’impegno e il puntiglio, a fare il suono.
Così l’analfabeta degli abbracci,
quando finalmente si decide,
non ha gesti spontanei, studia come
muovere il braccio, la spalla, come stringere
di più o di meno, è stupito e impaurito
- benché felice - del contatto del corpo
sul corpo. È felice, è più felice di altri
che hanno sempre abbracciato, fin da piccoli:
è felice, è una conquista: ma recita
l’abbraccio, è in ansia che gli venga bene,
in pratica lo mette in scena, e gli altri
se ne accorgono, a volte se ne accorgono
e credono che sia un abbraccio finto:
invece è il più felice degli abbracci:
lui ci è arrivato per strade difficili
e quasi piange mentre riesce a fare
ciò che per altri è una cosa normale.
Se incontri uno così, devi capire
che non è finto, è il più vero dei veri:
lui finge ciò che veramente fa
perché non lo sa fare senza fingere:
è un po’ come il poeta di Pessoa,
ma è così vero che dopo l’abbraccio
riuscirebbe a volare per la gioia:
però nessuno se ne accorge mai
perché, come l’abbraccio, anche lo sguardo
e gli altri gesti sono troppo incerti,
sgrammaticati, come di straniero,
e si resta perplessi, diffidenti.
Sono persone che fanno fatica
nelle cose più semplici, che mai
ti aspetteresti. Poi da soli in casa
cantano, ridono, scrivono versi.
Carlo Molinaro, " L’abbraccio analfabeta"
martedì 12 novembre 2013
ABBRACCIO LA BAMBINA CHE E' IN ME
L'ABBRACCIO AUMENTA L'AUTOSTIMA
Secondo quanto emerso da uno studio condotto dai ricercatori della VU University di Amsterdam, pare che una semplice pacca sulla spalla, o ancor meglio un abbraccio, possano davvero far crescere l’autostima di una persona, e far si che questa possa sentirsi più sicura di sé e della propria esistenza.
La ricerca, pubblicata sulle pagine dell’ultimo numero della rivistaPsychological Science, esplora in particolare le sensazioni provate dagli esseri umani di fronte all’idea che il loro tempo su questa Terra un giorno possa effettivamente finire. Chi gode di una buona autostima conosce la propria “mortalità”, e si impegna affinché la sua vita possa avere un significato. Ma chi invece di autostima ne ha poca o niente? Le cose in questo caso cambiano. Queste persone infatti tendono a non vedere la vita come qualcosa di speciale.
Detto questo, i ricercatori guidati dallo psicologo Sander Koole hanno condotto una serie di studi analizzando le reazioni di alcune persone con bassa autostima messe di fronte a tematiche “esistenziali” come quella della morte. “Questo è importante – spiega lo psicologo - perché tutti noi abbiamo a che fare con le preoccupazioni esistenziali, e tutti noi viviamo momenti in cui facciamo molta fatica a trovare un significato nella vita”.
Nello specifico, i ricercatori avrebbero rivolto alcune domande in merito alla morte ad alcuni studenti universitari, e curiosamente sarebbe emerso che gli studenti che avevano ricevuto un’innocua pacca sulla spalla della durata di circa un secondo, sarebbero gli stessi che avrebbero manifestato meno ansia nei confronti della morte.
Al contrario, chi non aveva avuto il contatto fisico avrebbe dimostrato maggiore ansia nei confronti della possibile fine della propria esistenza.
Detto questo, gli esperti avrebbero constatato che anche essere toccati da un oggetto inanimato (come ad esempio un orsacchiotto) avrebbe la capacità di attenuare le paure esistenziali. Alla luce di quanto emerso, i ricercatori ritengono infine che l’effetto benefico del contatto potrebbe essere utilizzato insieme alla terapia tradizionale nel trattamento di problemi come la bassa autostima, l’ansia, la depressione e disturbi del genere.
UN ABBRACCIO LUNGO 6000 ANNI
GLI “AMANTI DI VALDARO”, L’ABBRACCIO LUNGO 6000 ANNI, DALLA TERRA AL CAVEAU….
Abbracciati teneramente, le gambe raccolte e incrociate l’uno con l’altra, le braccia di lui sul collo di lei, quelle di lei sulle spalle di lui, uniti da oltre 6000 anni in una pace d’abbandono che forse è stata amore. Sono gli «amanti di Valdaro», due scheletri risalenti al Neolitico ritrovati vicino a Mantova in una necropoli scoperta nel 2007. Finora nessuno aveva potuto gettare uno sguardo su quelle ossa innamorate, se non in fotografia. Un’associazione nata tutta per loro che si è battezzata «Amanti a Mantova» nel 2011 è riuscita a esporli per qualche giorno nell’ingresso del Museo Archeologico, ancora in fase di ristrutturazione. Ma l’obiettivo è che i due possano avere, come avrebbe detto Virginia Woolf, una stanza tutta per sé, e magari anche un adeguato arredamento tecnologico per illustrarne la vicenda. Che è straordinaria, come un romanzo di cui possediamo alcuni capitoli, una narrazione al tempo stesso frammentaria e appassionante, una storia eterna. I due scheletri sono stati ovviamente studiati a lungo. Ora sappiamo che sono appartenuti a due giovani, un uomo e una donna, fra i 18 e i 20 anni. A sinistra il maschio, a destra la femmina, vissuti intorno a 6000 anni fa.Rappresentano qualcosa di unico al mondo, sia per l’antichità sia per la posizione in cui sono stati trovati. E recano con sé una componente di mistero, perché sul significato del loro abbraccio mortale ed eterno (o quasi, dipende dai punti di vista e dal futuro dei musei) non si possono che formulare ipotesi. In un primo tempo, dato che erano state trovate accanto alcune punte di silice, si era pensato che potessero essere stati uccisi. Immaginare un compagno geloso, un capo-clan irascibile, una seduzione finita molto male non è poi così strano, visto che Mantova è la città del Rigoletto, e la casa dove Verdi concepì la sua (immaginaria) vicenda è a due passi dal museo, basta attraversare la piazza. Le prime analisi, però, stabilirono che non c’erano fratture e neppure microtraumi, dunque l’omicidio era da escludere. Restava la malattia, forse il freddo: che i due ragazzi si fossero stretti per scaldarsi a vicenda in una gelida nottata neolitica? E’ possibile, ci dice la professoressa Silvia Bagnoli, animatrice e presidente del Comitato; però il luogo del ritrovamento, una necropoli, rende la cosa improbabile, o eccessivamente romanzesca. Sembrerebbe molto più verosimile pensare che i due corpi siano stati composti in quella posizione da mani pietose, che forse volevano lanciare un messaggio, magari non a noi posteri curiosi, ma certamente agli spiriti dell’aldilà, chiudere in un tenero abbraccio quello che era stato un amore (coniugale, probabilmente: è verisimile che a quel tempo ci si «sposasse» assai presto), consegnarlo tale e quale, incorrotto, al lungo viaggio della morte. Queste cose le abbiamo lette nei feuilleton di Jean M. Auel, fra pitture rupestri e idilli nella caverne, sapiens-sapiens e neanderthaliani che si guardano in cagnesco, deliziose - per l’epoca - fanciulle in fiore: ma a vederle di persona e quasi toccarle l’impatto è ovviamente incommensurabile. La terra della zona ha conservato perfettamente le ossa, tanto che per non danneggiarle al momento dello scavo è stato sollevato e riposto in un adeguato contenitore l’intero blocco da cui affioravano, una zolla da due metri cubi che resta anche adesso il loro letto. I due amanti non hanno mai cambiato posizione, si stringono immutabili in un gesto che è nello stesso tempo affettuoso e sensuale, un gesto d’amore. Ora, dopo un’ultima notte che si perde nella vertigine dei millenni, avrebbero diritto forse a una prima notte al museo.
Fonti: Mario Baudino -Pierluigi Montalbano -La stampa.it
QUANTI ABBRACCI ?
Alcune ricerche scientifiche hanno dimostrato che tutti abbiamo bisogno da 4 a 12 abbracci al giorno: 4 per il mantenimento del benessere psicofisico, fino 12 per incrementarlo e soprattutto nei momenti di bisogno. A livello fisiologico si è scoperto che l’abbraccio permette la produzione dell’endorfina, che ha una struttura chimica simile a quella della morfina, quindi diminuisce il dolore e aumenta il piacere, ma si è notato anche che è in grado di far superare i dolori del passato.
lunedì 11 novembre 2013
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